Donna-Natura

Donna Natura

Mostra itinerante delle Artiste Soroptimiste

È partito il 1° luglio di quest’anno per concludersi a Roma il 28 di ottobre il magnifico tour delle artiste appartenenti ai vari Club italiani che ha fatto tappa a Predazzo (TN), a Cividale del Friuli (UD), per poi fermarsi a Bologna, Siracusa, Cagliari, L’Aquila ed infine Roma.

L’articolato progetto “DONNA NATURA” è stato concepito come mostra itinerante a sostegno del progetto nazionale “Rinasce la foresta che suona” per volontà delle artiste che hanno voluto manifestare con la loro arte la bellezza come anche la fragilità del nostro patrimonio ambientale, richiamando all’esigenza di allerta per i tanti pericoli che vi incombono e di tutela per le  generazioni future.

L’arte, con il suo valore simbolico, crea connessioni significative che generano sentimenti di  consapevolezza, sensibilità e senso di responsabilità.

Il tema dell’ecologia ambientale e del rispetto della natura è stato l’elemento ispiratore che ha portato le artiste ad esprimersi, attraverso le proprie opere,  per la salvaguardia del nostro pianeta.

Le artiste del Soroptimist

Mela Andena

Valeria Arpino

Raffaella Bordini

Caterina Borghi

Luisa Brandi

Lidia Caselli

Mirta Carroli

Lea Contestabile

Gabriella Corso

Renata Emmolo

Luisa Mazza

Gaia Moltedo/Viola Villa

Marisa Montesissa

Patrizia Nalesso

Lucia Nardelli

Maria Luisa Passeri

Veronique Perrard Monzini

Antonella Pizzolongo

Dolores Previtali

Oretta Rangoni Machiavelli

Leonilde Russo

Carla Sanjust

Mabi Sanna

Elisabetta Silvestri

Amanda Tavagnacco

Mariko Masuda (musicista)

Laura Pisano (musicista)

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Club di Livorno

Le spille del Centenario

di Maria Raffaella Calabrese De Feo

Piantumare abeti rossi in una zona deforestata della val di Fiemme, ferita alcuni anni fa dalla violenza della tempesta Vaia. Questo il progetto nazionale lanciato all’inizio del biennio 2021-2023, dalla PN Giovanna Guercio, in occasione dell’incontro delle Presidenti dei Club che si è svolto il 2 ottobre 2021 a Roma. L’annuncio della Presidente è stato accolto con grande entusiasmo dalla folta platea presente, con un entusiasmo immediato, contagioso, favorito probabilmente anche dalla scelta di un titolo suggestivo, all’interno del quale la sonorità della foresta è metafora del particolare uso delle sue piante, utilizzate tradizionalmente nella costruzione di strumenti musicali e soprattutto di violini. La corsa all’acquisto delle spilline del Centenario, legate al contributo per il service, ha dimostrato anche visivamente l’accoglienza di questo bel progetto da parte delle soroptimiste presenti all’incontro. Dopo poco, infatti, eravamo in fila ad aspettare il nostro turno per avere la nostra spilla e… il nostro albero!
Un service di sostenibilità ambientale dunque molto apprezzato, che fa eco – e non è un caso – al primo service realizzato nel 1921 dalle soroptimiste pioniere californiane che manifestarono fin da subito la loro vocazione ambientalista impegnandosi nella salvaguardia dei boschi di sequoie. Due progetti paralleli che, a cento anni di distanza, perseguono finalità analoghe, l’uno tutelando foreste a rischio di deforestazione, l’altro rimboschendo una zona delle Dolomiti Trentine compromessa nel suo manto boschivo da un evento meteorologico di portata eccezionale. Da qui le spilline del Centenario scelte come simbolo del service.

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Da una spilla nasce un albero

La spilla con cui l’Unione Italiana festeggia il Centenario del Soroptimist International

Con l’acquisto di questa spilla contribuisci al progetto del Soroptimist International d’Italia “Rinasce la foresta che suona”.
Grazie al tuo gesto un abete rosso nascerà in Val di Fiemme sulle Dolomiti Trentine, flagellate dalla terribile tempesta Vaia.

Facciamo rinascere la Foresta che suona.
Per informazioni:
thesoundingforest@gmail.com sep@soroptimist.it

Violino17

La storia secolare della Valle

Intervista a Piera e Donata Ciresa,
alla guida della storica azienda di famiglia che produce violini di qualità

di Luigina Pileggi

Una delle zone più colpite dal passaggio della tempesta Vaia
è la foresta dei violini nel parco di Paneveggio.
L’abete rosso della Valle di Fiemme è infatti conosciuto in tutto
il mondo per essere l’abete di risonanza, un albero
che per le sue caratteristiche viene utilizzato per la costruzione
di violini di altissima qualità.

Lo stesso Stradivari si recava in questi boschi alla ricerca dei legni più pregiati per poi trasformarli in strumenti musicali eccellenti. Il legno dell’abete rosso è, infatti, particolarmente elastico, trasmette meglio il suono e i suoi canali sono come minuscole canne d’organo che creano risonanza.
Una materia prima ideale per la costruzione delle casse armoniche.
Lo sanno bene Piera e Donata Ciresa, che insieme all’amministratore delegato Fabio Ognibeni, gestiscono l’azienda di famiglia, fondata nel 1952 da Enrico Ciresa, azienda che costruisce tavole armoniche destinate a tutto il mondo, tra cui Stati Uniti, Cina, Nuova Zelanda e Sud Africa.

Lo stoccaggio dei tronchi

“Purtroppo la tempesta Vaia ha distrutto ettari di foresta con gli abeti di risonanza. Noi siamo stati colpiti in maniera molto pesante – spiegano le sorelle Ciresa –, poter ritrovare il materiale prezioso per costruire gli strumenti è diventata un’impresa titanica”.
Ma con la determinazione che solo le donne hanno, si sono rimboccate le maniche e hanno avviato una raccolta fondi in forma di crowdfunding per acquistare nel più breve tempo possibile legname necessario per poter costruire le tavole per il pianoforte e per la liuteria.

“Nei giorni successivi al disastro ci siamo posti la domanda: cosa facciamo se gli alberi di risonanza, che già sono pochi, non ci sono più? Quelli rimasti sono pochissimi e in condizioni disastrose. Così abbiamo preso una decisone importante, che ci ha permesso di lavorare in questi ultimi due anni, e cioè abbiamo avviato una raccolta di fondi in forma di crowdfunding.

Piera e Donata Ciresa

Superato il primo momento di shock ci siamo organizzati per andare nel bosco, nelle segherie, per poter scegliere del materiale da accantonare, e questo grazie alla disponibilità e professionalità degli operai e del nostro amministratore che ha seguito in prima persona la raccolta e scelta del materiale. E grazie soprattutto alle oltre 700 persone che hanno sottoscritto la nostra raccolta fondi, che è a restituzione: man mano che recuperiamo i soldi li restituiamo. Anche se c’è chi in cambio dei soldi prenderà del materiale, come molti maestri liutai”.

E così, dopo aver scelto gli alberi, i tronchi sono stati tagliati in quarti, ottavi e a fette, e posizionati nel piazzale, dove seguiranno la stagionatura naturale prima della lavorazione. Da ogni tronco, se è in ottime condizioni, si possono ricavare fino a 300 violini.

Ma non solo. L’azienda Ciresa ha infatti due canali di produzione: il primo riguarda la produzione delle tavole di pianoforti verticali e a coda, arpe, clavicembali e vari strumenti a corda. Se ne producono circa 4.500 all’anno e vengono inviati soprattutto all’estero.

“I prodotti li spediamo per la maggior parte all’estero – spiegano – soprattutto in Germania, patria della fabbrica dei pianoforti, dove ci sono quelle storiche come Bluthner, Thurmer che sono nostri clienti. Anche perché in Italia esiste una sola fabbrica, la Fazioli Pianoforti, che è considerata la Ferrari dei pianoforti a corda, e data l’elevata qualità realizza 150 pianoforti all’anno. Il secondo canale di produzione riguarda le tavole armoniche per tutti gli strumenti classici ad arco (viole, violini, violoncelli, contrabassi, a corda come chitarre, liuti, mandolini, chitarre acustiche, chitarre jazz), dove viene fatta una scelta ancora più accurata del materiale.

“Mentre per i pianoforti i tronchi vengono segati in assi, per la liuteria dobbiamo eseguire due tipi di tagli diversi – spiegano le sorelle Ciresa – un taglio a quarti, perché i violini vengono scavati, e anche dei tagli piatti per poter fare le tavole da chitarre. Anche se per adesso un po’ di materiale è stato messo da parte, il problema è per il futuro, perché i boschi sono stati fortemente danneggiati e qualche altro si è ammalato. “La Valle di Fiemme gode di una posizione ideale per la crescita e lo sviluppo di questi abeti rossi – evidenziano Piera e Donata – ma purtroppo non tutti sono di risonanza; la percentuale utilizzabile è molto bassa, si aggira intorno al 4-5% quando va bene. Scegliamo piante dritte, pulite, con pochi rami e con almeno 150 anni di vita. “Le due caratteristiche di questi abeti di Fiemme sono la leggerezza e grande elasticità; l’abete ha una pasta di legno molto soft, leggera, ma allo stesso tempo si lascia lavorare bene e resiste alle sollecitazioni delle vibrazioni. E questo lo rende unico e con una marcia in più”.

Un momento della lavorazione

Qui seguiamo una lavorazione e stagionatura diversa, perché per questo tipo di strumenti la stagionatura deve essere naturale e segue tempi più lunghi rispetto a quella dei pianoforti”.

Alla produzione storica l’azienda ha aggiunto anche la produzione di “Opere sonore”, una sorta di diffusori acustici di musica costruiti con un piacevole design e che grazie all’abete di Fiemme fungono da altoparlanti. Un altro nuovo prodotto è invece il piano “Resonance”. Utilizziamo il principio della tavola armonica in un pianoforte nel quale non ci sono le corde ma al quale possono venire collegate dalle tastiere, al piano digitale, all’amplificazione del violino, e della voce, e funge proprio da cassa di risonanza.

Al passo coi tempi e con la speranza che la vecchia tradizione non vada a morire, in quanto legata alla storia secolare della Valle.

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Da quei piccoli semi rinasce la foresta

Intervista ad Elisabetta Zanetti,
vivaista “storica” della Magnifica Comunità di Fiemme

di Luigina Pileggi

Da ventinove anni semina e cura gli abeti rossi e i larici della Val di Fiemme. Lei è Elisabetta Zanetti, vivaista della Magnifica Comunità di Fiemme che con amore e dedizione fa sì che quei piccoli semi crescano sani e robusti, per poi essere piantati nella “foresta che suona”. Un lavoro fatto da sempre, per rimboschire le montagne dopo i tagli annuali degli alberi, che però la tempesta Vaia ha fatto quintuplicare.

“Nel vivaio storico della Magnifica Comunità di Fiemme abbiamo sempre coltivato queste piante, anche prima di Vaia perchè nel bosco ci sono i tagli stabiliti dai piani provinciali annuali – spiega la vivaista –. Prima della tempesta preparavamo 30mila piantine all’anno, dal 2018 invece siamo arrivati fino a 250mila piantine, perché c’è maggiore necessità di rimboschire i territori.

Ci sono comunque zone dove la rinnovazione avviene in modo naturale con una crescita spontanea degli alberi, altre invece che necessitano di un intervento urgente, come quelle ad alto rischio di valanghe”.
Un lavoro che Elisabetta Zanetti fa con dedizione e amore. “Una volta raccolte, le pigne vengono portate in un’azienda del posto, che le ripulisce e ne trae il seme, che noi piantiamo nei vasetti e manteniamo fino a 4 anni. Trascorsi i 4 anni la piantina, alta circa 30 centimetri, è pronta per essere portata nel bosco.


Elisabetta Zanetti nel vivaio

Dopo la tempesta Vaia abbiamo aumentato la semina soprattutto di larice, che è una pianta pioniera che non viene attaccata dal bostrico, oltre all’abete rosso che è un ottimo legno ed è più commercializzato”.

Un’attività, quella dei rimboscamenti, che fino a qualche anno fa era tutta al femminile.

“Gli uomini non hanno pazienza a curare le erbe, a seminare, sono più boscaioli, frettolosi – racconta la vivaista – questa attività di rimboscamento è sempre stata femminile: in passato erano le donne che mettevano le piante nel bosco.

Una volta in Val di Fiemme le famiglie vivevano di questo lavoro, era un introito importante. La Magnifica Comunità ha sempre cercato di dare lavoro alle famiglie della Valle, anche perché è una tradizione molto intima di questo territorio. Ora invece è andato perduto, anche perché le donne hanno trovato dei lavori stabili”.
Il lavoro ora è aumentano a dismisura ed è una corsa contro il tempo, per risanare una ferita che difficilmente si rimarginerà.

Ma questa Valle sa rialzarsi: “La tempesta ci ha fatto svegliare dal solito tran tran – afferma Elisabetta Zanetti – ci siamo migliorati, ci siamo raccordati con altri territori, come la Svizzera, e acquisito informazioni importanti per come poter intervenire e sanare i danni di una tragedia che ha stravolto il nostro territorio”.

Il vivaio
I piccoli abeti crescono
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Un disastro in una notte

Intervista allo Scario Renzo Daprà, presidente della Magnifica Comunità di Fiemme

di Luigina Pileggi

L’antica sede della Magnifica Comunità di Fiemme
Il disastro della tempesta Vaia

Tutto è avvenuto in una notte. Un disastro che resterà nella storia per le dimensioni dei boschi distrutti. La notte di lunedì 29 ottobre del 2018 infatti in Val di Fiemme si è scagliato un vero e proprio uragano, con venti fino a 190 km orari che hanno sradicato e sollevato intere foreste, con alberi a terra come tanti birilli. In poche ore il vento ha abbattuto più alberi di quanti se ne possano tagliare in tre anni in tutti i boschi del Trentino.
A raccontare cosa è avvenuto quella notte è lo Scario Renzo Daprà, presidente della Magnifica Comunità di Fiemme. “La tempesta Vaia ha devastato il nostro territorio – ha spiegato lo Scario – schiantando 450mila metri cubi di materiale e accatastando al suolo migliaia di abeti come fossero shangai. Piante rovesciate pericolosamente una sopra l’altra, con radici sollevate dal terreno, posizionate in modo irregolare, quindi anche difficili da sollevare, perché ogni movimento avrebbe potuto provocare cedimenti e quindi era un grosso rischio per gli operai”.
A complicare la situazione anche l’impossibilità di accedere ai boschi, per via delle frane e dei cedimenti stradali provocati dalle intense precipitazioni. “Il primo intervento fatto, dopo il sopralluogo in elicottero, è stato quello di aprire alcune strade per poter accedere e verificare sul posto la stima dei danni – ha evidenziato il presidente della Magnifica – ci siamo messi subito di buona lena per intervenire prima possibile, chiedendo aiuto a ditte boschive piemontesi, francesi, svizzere, austriache perché le nostre ditte non erano sufficienti per il volume di legna abbattuto e il legname, facilmente deperibile, doveva essere raccolto prima possibile per salvaguardarne la qualità”.